Vediamo ciò che contempliamo
In queste sere d’estate stando in riva al mare durante il tramonto scorgiamo orizzonti bellissimi che lasciano intuire l’incontro tra il Cielo e la terra. Sono quei paesaggi che contempliamo e che appaiono cangianti per la loro bellezza, mai definibili una volta per tutte come se chiedessero fiducia e ammirazione per la continua scoperta. Il residuo che lascia questa visione è la pienezza del cuore, la promessa che tanta bellezza racchiude quale presagio del dono che il Cielo ha preparato per noi.
Il Vangelo di questa domenica (Lc 12, 32-48) rimanda all’orizzonte che scrutiamo durante i nostri giorni e a quale postura assumiamo per stare nelle cose che ci accadono. L’esistenza di ciascuno, infatti, rivela quale è la nostra fede perché dalle opere del quotidiano manifestiamo il fine della nostra vita.
La Scrittura, dunque, mostra una duplice possibilità. Da una parte troviamo chi è desto dal sonno, vigilante e capace di rimanere in ascolto lasciandosi sorprendere con gioia dal mistero della vita, dall’altra invece c’è chi si sente padrone e vive in modo furtivo come se in ogni momento potesse perdere qualcosa.
Non sapere l’ora dell’incontro è sempre fonte di sorpresa ma per chi vive con logiche d’inimicizia l’altro è percepito come un ladro mentre per chi vive con fiducia, l’arrivo inaspettato diventa gioia come quando un bambino scopre tutto ad un tratto l’arrivo del genitore e gli si getta in braccio.
Essere vigilanti, allora, traduce la consapevolezza del cuore e non il semplice guardare ciò che accade attorno, la vigilanza non è un capire ma uno stare immersi nella storia intuendo il passo quotidiano da compiere.
Il Vangelo offre diverse coordinate per spiegare ciò: i fianchi cinti e, dunque, intenti nel cammino e nel servizio; le lampade accese e cioè alimentate dall’amore che nutre i nostri giorni; lo spogliarsi di tutto per potere custodire il tesoro nel Cielo.
Rimane in cammino chi non cerca di conquistare luoghi e persone ma coltiva la relazione con il prossimo e la fiducia nel Signore che conduce il viaggio.
Questo atteggiamento di fede è palese in Maria la quale non chiede – come fa Zaccaria – di capire il progetto di Dio, ma di sapere come poterlo compiere.
Il primo passo si muove nella fiducia di quello che non si conosce, così come sarà anche per Abramo, ed è il custodire nel cuore l’esperienza che pian piano mostrerà il senso di tutto. Questo cammino è possibile se si rimane servi e, quindi, docili al dono rimanendo in ascolto del Cielo.
Custodisce le lampade accese chi nutre l’amore e cioè chi rimane accogliente perché per donarsi bisogna prima ricevere e, dunque, sapere di non bastare a se stessi.
Il vendere tutto per avere un tesoro nel Cielo esprime questo primato e cioè la consapevolezza che nulla può appagare se non l’amore e questo non si esprime mai secondo calcoli di possesso ma secondo il criterio del perdere qualcosa.
L’incontro con il Signore, viene ricordato dalla pagina evangelica, ci rende amministratori e cioè responsabili del nutrimento altrui, è una relazione di cura quella che ci viene affidata ed è così che si diventa strumenti del Suo amore.
Ripeteva il giudice Rosario Livatino, martire di giustizia che “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”, è questa la testimonianza di chi rivela con i propri gesti quotidiani la presenza di un Altro.