Novembre 2025
L M M G V S D
 12
3456789
10111213141516
17181920212223
24252627282930

Argomenti

Educativa di strada, Palermo, Ricerca di Dio, Testimoni

L’equidistanza oggi è complicità ossia avarizia di vita

Il coraggio è proprio di chi si mette in gioco avendo cara la causa del bene comune, della giustizia sociale. Il motto “I care” ripetuto da don Milani rivela questa scelta decisa di interesse verso il prossimo, perché la causa dell’altro ci appartiene e ne siamo responsabili.

Lo slogan “me ne frego” in uso dalle squadre d’azione fasciste, diversamente, esprime la convenienza calcolata degli avari d’ogni tempo, la postura esistenziale di chi ha lo sguardo chino sul proprio autocompiacimento.

Oggi la storia torna ad interpellarci e mantenere una moderata equidistanza significa farsi complici delle ingiustizie che stanno brutalmente sterminando interi popoli.

L’avarizia è l’insidia che soggiace ad ogni guerra e le mire espansionistiche che pretenderebbero di colonizzare la vita altrui per farne un proprio possesso, hanno come radice l’avarizia del cuore ossia la brama di soddisfare il proprio appagamento senza limite.

In modo analogo alle beghe familiari che per la spartizione dell’eredità si trasformano in conflitti irrisolvibili, la pretesa di ottenere la terra altrui è il movente per scatenare guerre puntualmente ingiuste.

Alla base di così grave deriva sta il mancato riconoscimento del volto altrui, della dignità altrui, del diritto alla felicità del vivere. La storia di sempre è accomunata da questo veleno che trasmesso di generazione in generazione pare oscurare l’alba di una civiltà capace di contaminarsi con gesti di pace.

Il valore dell’esistenza personale è ben superiore ai beni posseduti ma, questi, quando vengono assolutizzati diventano il luogo di contesa e l’accumulare diventa la mira da perseguire a discapito dei rapporti umani. Ne consegue uno stato ansiogeno frutto della paura di perdere qualcosa da cui segue la competizione e l’inimicizia verso il prossimo.

La pace, piuttosto, è responsabilità comune e a ciascuno è data la possibilità di fare la propria parte per favorirla e costruirla. Come ad esempio, stamane, i camalli del porto di Genova, annunciando il loro sciopero, sono riusciti a convincere la compagnia marittima a rinunciare a scaricare i tre container che contenevano armamenti diretti a Israele. Gli scaricatori di porto hanno messo in gioco la loro busta paga per non farsi complici di così grave genocidio che sta sterminando il popolo palestinese.

Da questi puntuali gesti condivisibili da tutti è possibile promuovere la cultura del riconoscimento reciproco e del rispetto dei diritti di ciascuno. La pressione che le democrazie occidentali stanno facendo già riconoscendo, finalmente, lo Stato palestinese è un ulteriore passo che non guarda l’interesse economico ma cerca lo sguardo di chi è sfigurato sotto i bombardamenti e gli stenti della fame.

La vita di comunione abbisogna di scelte concrete che rivelino per cosa si sta consumando il dono della propria esistenza o, altrimenti, se ci si sta rintanando in logiche di preservazione.

L’avaro del Vangelo di questa domenica (Lc 12, 13-21) risponde a simile mentalità: accumulare per godere un giorno ed espandersi per contenere tutto ciò che dovrebbe appagare.

L’illusione è simile a quella descritta nella parabola del padre misericordioso dove il figlio rivendica l’eredità che, di fatto, non gli spetta. Anche in quel caso i beni sostituiscono il legame affettivo e diventano lo strumento per rinnegare il volto altrui.

Lo stesso accade per il giovane ricco che vorrebbe ereditare il Cielo mantenendo l’appoggio nelle sue ricchezze. La tristezza che scaturisce dall’invito di Gesù a lasciare tutto è il sintomo del primato dato agli averi i quali entrano in conflitto con il desiderio di cammino verso la meta.

Francesco d’Assisi, diversamente, custodiva il senso della povertà per potere vivere la pienezza del dono. Aveva ben chiaro che senza questa libertà ogni essere umano cade nella mania del controllo per assicurarsi un appagamento capace di dare senso al vivere. La festa del Perdono che abbiamo appena celebrato è frutto di questa sintonia con il Cielo perché solo un cuore che ama può desiderare la riconciliazione e il bene per l’altro che ha smarrito la strada.

La via evangelica è intransigente verso ogni forma di ingiustizia, puntualmente lo sguardo di Dio è vicino all’oppresso e all’affamato tanto che questa prossimità diventa motivo di scandalo per chi vede e ascolta Gesù.

Al contempo si oppone ad ogni forma di vendetta perché l’odio non produce pace e la guerra va disarmata con la resistenza e il grido di giustizia che non può essere messo a tacere.

La sintesi di tutto il Vangelo è espressa nel grido di Gesù sulla croce. Lui, nudo, torturato e umiliato fino alla morte si fa prossimo agli ultimi della terra promettendo che nulla andrà perduto perché in Cielo ha cittadinanza solo l’amore.

Nel mentre a ciascuno spetta di tessere trame di giustizia sociale per custodire l’incontro tra il Cielo e la terra.