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Danisinni pro Gaza
Palermo, Psicologia della Religione, Ricerca di Dio

Senza unicità siamo tutti più poveri

Negli anni ’90 Giorgio Gaber descriveva il conformista come un uomo nuovo capace di stare sempre dalla parte giusta, un concentrato di opinioni e con le risposte belle e chiare dentro la sua testa.

Le sue canzoni sembrano pennellare una tela che raffigura la società contemporanea dove per stare a galla molti si adeguano alle spinte culturali di turno. Una moda sociale che, di fatto, inibisce il processo di individuazione attraverso il quale a ciascuno è dato di appartenere ad una comunità mantenendo la propria unicità.

Diventare se stessi non è cosa scontata e quando i modelli culturali cercano di spingere prepotentemente verso l’omologazione allora si rischia di ingenerare una gran confusione fino a condizionare la libertà personale.

La diversità, piuttosto, ci fa umani e capaci di interazione rispettandoci a vicenda. Senza diversità, altrimenti, vivremmo nell’appiattimento dell’uguaglianza priva di pensiero critico e di originalità.

Il mercato dei consumi non ama la diversità anche se apparentemente propone l’originalità di ciascuno attraverso stili di vita, un capo d’abbigliamento o un accessorio che, di fatto, deve essere replicabile per generare una moda che fa aumentare a dismisura i profitti.

Quando a Danisinni promuoviamo artigianato e microeconomia non è perché desideriamo isolarci in un mondo ideale, bensì è perché crediamo che la localizzazione sia un valore espressivo della diversità ed unicità dei luoghi e di quanti vi abitano e che la loro custodia è responsabilità politica che appartiene a tutta la Comunità.

Oggi, piuttosto, la diversità viene percepita come sfida antagonista e diventa motivo per confliggere verbalmente e fisicamente in modo parecchio aggressivo. Dalla malamovida ai continui crimini di guerra, genocidi quotidiani, assistiamo attoniti a questa violazione della dignità di ciascuno.

Pare che la diversità sia scomoda perché inquieta e cioè destabilizza rivendicando l’uscita dalla propria comfort zone per interessarsi dell’altro. La cultura del diverso, infatti, non ammette autocompiacimento difensivo ma relazionalità e chi si chiude nel proprio mondo perseguendo un ritiro narcisistico ha scelto di escludere il volto altrui e da ciò derivano tutte le derive possibili.

La politica sceglie l’omologazione perché cerca di eliminare le differenze e, di conseguenza, il pensiero critico al fine di propinare un pensiero neutrale volto a manipolare le fasce di popolazione secondo le proprie finalità. È quello che accade quando non emancipa gli elettori ma li mantiene su un piano clientelare con un continuo ricatto volto a trasformare i diritti in favori.

Il Vangelo mette in discussione questa ingiustizia e rimanda al concetto di “persona” che riconosce l’unicità di ogni essere umano: a ciascuno è dato un volto mai replicabile e a completamento del volto dell’intera Comunità.

Il principio tanto ribadito da papa Francesco “Il tutto è superiore alla parte”, non svaluta l’unicità della parte secondo un criterio massificante ma ne esalta l’integrazione armonica con tutto il resto. Come accade in una composizione orchestrale ove è la sinfonia ad emergere e non il singolo strumento. L’esaltazione dell’unicità, diversamente, porterebbe all’individualismo e al delirio onnipotente che non ammette limite.

La verità dell’umano è nell’essere parte originale del tutto, ciò significa anche trovare il “tutto nel frammento” (come ebbe a dire Hans Urs von Balthasar) e cioè come presenza che non annulla la distanza.

Il pensiero moderno, diversamente, sembra scivolare nella ricerca della coincidenza privando di tensione e di desiderio, di fatica per raggiungere la meta. Schiacciando il tutto in un eterno presente proprio dell’appagamento immediato secondo la logica dei consumi.

Se il cristianesimo valorizza la differenza sessuale così come quella di pensiero o della fede è perché l’unicità si distingue dalla uniformità o dalla neutralità e ciò secondo la grammatica dell’amore e del dono gratuito.  

I legami di bene si reggono su questo rispetto dell’altro diverso da sé senza il quale non si potrebbe parlare di relazione d’amore e di comunione.

La festa del Corpus Domini che celebriamo oggi intende esprimere questa capacità di compromettersi per e con l’altro. Rilancia l’investimento d’amore oltre il compiacimento: la capacità di amicizia malgrado l’inimicizia altrui, l’essere costruttori di pace anche in un contesto belligerante.

La comunione proposta  è partecipazione alla vita altrui senza perdere la propria unicità, in modo analogo nel frammento eucaristico si trova il Tutto della storia. A ciascuno è data pienezza a partire dalla relazione con la fonte dell’amore, per cui nessuno può arrogarsi il potere di bastare a se stesso.

La prospettiva della comunione resiste all’individualismo diffuso e scopre nel consumarsi per amore dell’altro la modalità per esserci pienamente, il modo per custodirsi veramente “perdendo la propria vita”.

La festa del Corpus Domini ripresenta alcuni simboli eloquenti: il sangue e il pane. Il sangue per i popoli antichi era simbolo di vita e di alleanza, come ad intendere che l’alleanza è custodia della reciproca vita ed è per questo che il sangue degli animali squartati in due veniva posto a garanzia dell’accordo e aspergendo i contraenti veniva indicato il loro compromettersi nel patto d’amicizia con l’altro. Gesù non permetterà lo spargimento di sangue altrui e consapevole che la fragilità umana non potrebbe mantenere la fedeltà al patto, si offre a garanzia di entrambi i contranti: Lui e il popolo.

Quel sangue rivela la fatica del rimanere nell’alleanza malgrado tutto, nonostante i tradimenti e le aggressioni altrui. Gesù libera dai comportamenti reattivi e dalla logica di prossimità fondata sulla convenienza, nella cena del dono totale di sé chiamerà Giuda “amico” come ad indicare che nessuno viene escluso dal Suo dono…

Oggi per riscoprire il valore della Pace abbiamo bisogno di tornare ad una visione del Cielo.