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Educativa di strada, Palermo, Psicologia e vita, Ricerca di Dio

Dobbiamo ancora imparare ad abitare questo mondo

Ogni città custodisce la storia che l’ha attraversata e cioè il sedimentarsi di culture che hanno dato luogo ad un modo di abitarla em dunque, di organizzare la vita sociale. Queste radici si respirano nei secoli anche se apparentemente non ne rimane traccia.

I processi di cambiamento, infatti, abbisognano di trasformazioni culturali che non sono mai veloci e la memoria del passato sembra riaffiorare come un fiume carsico che quando pare scomparso nei condotti sotterranei tutto ad un tratto riemerge in modo sorprendente.

Così, ad esempio, è delle trame di vendetta quando le faide rimangono sospese nel tempo, anche per decenni, e poi al momento propizio scatenano il regolamento dei conti spargendo il sangue del rivale.

Lo stesso si può dire per la cultura della pace la quale, malgrado le offese ricevute, mantiene la capacità di riconciliazione non violenta trasmessa dai padri. Grandi fedi ed esperienze spirituali nei secoli hanno assunto questo significato generando visione capace di perdono e di giustizia sociale.

La pagina del Vangelo che meditiamo oggi (Mt 16, 13-20) è paradigma di questa prospettiva in cui gli accadimenti storici vanno contestualizzati per comprendere il senso delle parole e dei gesti compiuti.

Si tratta della cosiddetta professione  di fede da parte dell’apostolo Pietro. Siamo a Cesarea di Filippo, città romana dove Erode il Grande aveva fatto erigere un tempio dedicato all’imperatore Augusto.

L’antica città Panea nel 14 d.C., al tempo del tetrarca Filippo figlio di Erode il Grande, prese il nome di Cesarea in onore dell’imperatore Tiberio Cesare. Per cui al tempo di Gesù la città portava l’identità del potere imperiale con tutta la sua grandezza e magnificenza.

Il luogo del potere imperiale aveva, ancora, radici nel periodo ellenistico quando portava il nome di Panea in onore di Pan. Collocata sulle alture del Golan al confine con la Siria ed il Libano, nella regione delle sorgenti del Giordano, il paesaggio naturale offriva le condizioni per i culti pagani al dio Pan.

In quel contesto una grotta, da cui scaturiva una cascata, fungeva da luogo per l’offerta dei sacrifici umani alla divinità legata alla pastorizia e alla natura. Il fenomeno carsico che vedeva l’emersione e la scomparsa delle acque aveva procurato un alone di mistero alla grotta che nel tempo venne denominata “la porta degli inferi” e cioè la soglia di accesso al regno dei morti secondo la mitologia pagana.

Da quel contesto così distante da Gerusalemme, Gesù inizia il suo cammino di demistificazione della credenza religiosa per rivelare il volto del Padre. Le pratiche pagane, infatti, manifestavano una religiosità che pretendeva di piegare il divino alle proprie richieste attraverso l’offerta che diventava il mezzo per ottenere la risposta alle proprie aspettative.

La distanza se da un lato è il luogo di massima differenza dall’altro lascia percepire la profonda mancanza, una fede idolatra non appaga l’interiorità umana per cui quella condizione può diventare l’occasione per riorientare il cammino verso la meta. È perciò che il Maestro proprio lì questiona i discepoli. 

Sapere porre le giuste domande è un’arte preziosa per favorire la crescita e l’esperienza del mondo senza domande si ridurrebbe ad un’esplorazione superficiale priva di conoscenza.

Si pensi alla differenza tra un’insegnante che interroga gli alunni per dare un “merito” con un voto sui contenuti appresi e un maestro che chiede per favorire la curiosità e i processi di ricerca e di passione per la vita. O, ancora, ad un turista che si accontenta delle vetrine dei “salotti bene” della città, le quali offrono prodotti sempre più omologati secondo la logica dei consumi, e il turista che vuole fare esperienza della città uscendo dagli schemi preconfezionati e comincia ad esplorare i quartieri popolari conversando con la gente che li abita.

Dalle domande che poniamo alla vita dipenderà il raggiungimento di una meta piuttosto che di un’altra. L’individualismo dei nostri giorni è una palese rassegnazione priva di domande e il diffondersi delle guerre così come delle molteplici dipendenze sono solo dei sintomi di simile stato di fatto.

Questa pagina del Vangelo mostra come Gesù inverta la prospettiva di approccio alla fede. Se le ideologie di ogni tempo, sia religiose che filosofico-politiche, scaturiscono dal tentativo di fare entrare Dio, il volto umano o il valore del creato, dentro il dominio individuale – per cui l’interrogativo è funzionale a soddisfare la brama di potere, di compiacimento e il bisogno di dare valore o giustificazione alle proprie scelte – ora è Lui a chiedere se il discepolo è disposto ad entrare in una prospettiva che lo sovverte destabilizzando le precomprensioni di un tempo. La domanda continuerà fino al mattino di Pasqua quando, dopo una notte di pesca andata a vuoto, Gesù tornerà a chiedere a Pietro se davvero il suo amore muove da una resa e cioè consegna delle proprie armi di affermazione per, poi, lasciarsi condurre.

A Cesare di Filippo i discepoli inizieranno a comprendere che la conoscenza muove dall’atteggiamento di ascolto frutto di una relazione fondata sul dono, sulla gratuità e sull’amore senza misura. La Parola incarnata secondo queste coordinate permetterà loro di fare reale esperienza del Cielo oltre le precomprensioni di prima.

Pietro, ora, è chiamato a riconoscere l’interesse che Dio ha per ciascuno, una relazione interpersonale e non generica, tanto da cambiargli il nome. Nell’antichità è il padre ad attribuire il nome e così a rivelare l’identità di chi lo riceve, ora Pietro viene indicato come “roccia” ossia basamento su cui poggiare il passo.

L’attributo che nell’Antico Testamento veniva riferito esclusivamente a Dio ora diventa il nome del discepolo come ad indicare che questa relazione contamina il Cielo e la terra fino alla comunione piena, un dono e non più un prezzo che permette di assumere un ruolo…

Pietro, comunque, avrà bisogno del cammino verso Gerusalemme per imparare e lasciarsi trasformare nella mentalità e nel cuore. Infatti continuerà ad equivocare pensando che riconoscere l’identità dell’altro equivalga a rivendicare potere su di lui, per cui rimprovera Gesù subito dopo averlo riconosciuto Messia.

Accettare che l’onnipotenza di Dio si riveli attraverso la Sua misericordia necessita di un cambiamento di mentalità e Pietro potrà approfondire il senso del suo nuovo nome quando, dopo il triplice rinnegamento, troverà ancora lo sguardo del Maestro disposto ad entrare in relazione con lui.

Dopo il riconoscimento a Cesarea, Gesù ammonirà il discepolo perché non è possibile assumere scorciatoie per eludere la storia e dunque sottrarsi alla passione e morte in croce. Ciò  significherebbe entrare nel compromesso di chi pensa solo a se stesso e, così, difendere i propri interessi.

Simile atteggiamento manterrebbe nel buio della grotta, la stessa che a Banias chiedeva il prezzo dei sacrifici umani per garantire i propri interessi. È la stessa logica di chi dichiara guerra per vivere comodamente alle spalle di chi è ultimo in questo mondo e perciò viene sfruttato per sopravvivere.

Sia Pietro che Paolo, ricordati nella liturgia di oggi, hanno deposto la spada e dopo essersi arresi hanno assunto la visione del Cielo facendo della propria vita un dono totale per generare la vita altrui. Il loro sangue versato per amore ha reso feconda la nascita della Chiesa…