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Educativa di strada, Palermo, Psicologia della Religione

Nella Festa risuona il travaglio del mondo

Molti contemporanei vedono la religione come una fuga dalla vita funzionale a non affrontare responsabilmente la realtà.

Secondo questa precomprensione l’uomo religioso, nella ricerca di soddisfare i propri desideri infantili, si creerebbe un mondo illusorio vivendo la propria esistenza bloccato come in una caricatura di se stesso. Navigando su questa scia la liturgia viene considerata bigotta e arcaiche tutte le forme di pratiche religiose e, sostanzialmente, la spiritualità viene letta come sintomo di immaturità.

Simile riduzionismo ideologico ha impoverito la visione umana del pensiero occidentale, ha svuotato di senso l’esperienza dell’esistenza personale consegnandola ad un’esibizione apparente, dove il culto dell’immagine è diventato il nuovo credo da professare.

In fondo la dimensione religiosa e la ricerca spirituale è insita nell’essere umano e ogni tentativo di metterla a tacere non fa altro che spostare altrove, a volte attraverso vere manipolazioni, il bisogno di senso. Basti pensare che anche la diffusione di pratiche esoteriche e magiche – attraverso le quali a ciascuno viene data l’illusione di controllare e prevedere il futuro o il credere di potere manipolare e determinare le situazioni attraverso un amuleto o una pozione magica – può essere letta come sintomo di questa dimensione che abbisogna di risposte.

Nella società ipertecnologica, allora, si torna a pratiche arcaiche vicine alle esperienze tribali o si adottano tecniche per aprirsi a nuovi stati di coscienza…

Certamente questo scenario ci interpella considerando che bisogna restituire cittadinanza alla spiritualità favorendo la crescita e la ricerca personale liberandola da ideologie che muovono da pregiudizi pretestuosi. Si pensi che pure il concetto (costrutto) di introversione, quale spazio di ascolto volto a custodire l’interiorità, è stato guardato con sospetto da certe frange della psichiatria americana che avrebbe cercato di diagnosticarlo come patologico perché antitetico alla estroversione propria della società dei consumi dove il potere e l’indice di gradimento sono delineati dalla capacità di esibire successo e competitività nel nostro mondo.

Anche il naturale viene frainteso come se fosse avesse una portata spirituale o sacrale, vedi il rapporto con le fasi lunari o i campi energetici naturali che, di fatto, influenzano il nostro interagire quotidiano ma che vengono assunti come una nuova fede in cui troviamo leader (personalità narcisiste) che si atteggiano a maestri di vita trasformando anche una pratica ginnica in dottrina spirituale per illuminare e dirigere l’esistenza….

In questo fermento di esperienze oggi abbiamo celebrato la Festa della Santissima Trinità che a Danisinni è coincisa con la ricorrenza giubilare della Sacra Famiglia. Abbiamo colto come un segno l’accostamento delle due feste che narrano della relazione che intreccia il Cielo e la terra.

Di fatto siamo soliti pensare che Dio sia inaccessibile e abbiamo inteso la religione come qualcosa che dal di fuori normi la vita sebbene riteniamo che poco c’entri con il quotidiano.

L’esperienza trinitaria rivela, piuttosto, l’apertura di un Dio relazionale e cioè percepito come relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che si apre ad ogni essere umano che acquista il riconoscimento di figlio di Dio.

Sono passaggi veloci, incomprensibili per chi non ha esperienza di fede in quanto relazione filiale. Il cristianesimo scaturisce dalla Parola che si fa carne, storia concreta, vicenda del singolo che si intreccia con la storia di un popolo.

Già nella crescita di ciascuno la parola del padre permette il separarsi dallo stato simbiotico con la madre, segnando l’evoluzione per definirsi e conoscere il mondo. Essere riconosciuti e chiamati dal padre – in senso psichico e non secondo modelli di patriarcato – equivale a modulare l’ascolto e aprirsi alla relazione che scaturisce dalla distanza e non dalla coincidenza.      

Il domani viene orientato da una relazione abitata dalla parola che rivela riconoscimento e stima, accoglienza e dono. Siamo figli di una promessa e portarla nel cuore apre al futuro, non in senso magico o fatalista ma relazionale custodendo il senso della Provvidenza.

La festa che celebriamo oggi e che per Danisinni ha trovato una settimana di festeggiamenti e a sera anche la processione per le vie del rione, dice di un bisogno collettivo di ritrovare il senso del bene, dei legami autentici che si basano sull’amore gratuito piuttosto che sullo sfruttamento del prossimo.

Siamo consapevoli che il malessere individuale ci rimanda a quello collettivo, nel senso che l’individuo esprime il sintomo di una società disfunzionale che ha dimenticato come si coltiva la felicità e che investe su strutture di male per ottenere soddisfazione a qualsiasi prezzo…

Le barbarie che leggiamo nei quotidiani ci questionano perché, ad esempio, non possiamo fermarci alla condanna del singolo che ha sparato senza indugio su uno sconosciuto ma abbiamo bisogno di comprendere cosa abbiamo negato a livello sociale per produrre così gravi derive.

Anche il diffondersi delle guerre è da leggersi in questa direzione, interi popoli hanno smarrito il senso della relazione entrando in un delirio collettivo che legittima la guerra fino a motivarla come “giusta”…

Sappiamo come il nostro Paese lo scorso 8 giugno ha rinnovato la ventennale alleanza militare con Israele: il “Memorandum Italia-Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa”.

Ma questa non è la risposta alla storia che stiamo vivendo, noi non siamo solo esseri relazionali, l’umano ha una capacità ulteriore perché da sola la relazione non è sufficiente.

Noi siamo desiderio del Cielo, Dio ci ha chiamati alla vita e chiedendo di stare in relazione con Lui desidera donarsi a ciascuno. Noi siamo relazione perché nessuno può definirsi senza un altro, come faremmo a pensarci se non parlando di noi ad un altro, anzi, vedendoci attraverso lo sguardo di un altro. Ancora oggi le più gravi sofferenze sono frutto di un mancato riconoscimento, il non essere visti risulta essere l’esperienza di solitudine insostenibile e ogni volta che scoppia un litigio o, ancora, una guerra si rinnova questa sofferenza per tutti…