Il Castello indistruttibile
Ci rendiamo tutti conto che la competitività del tempo moderno oltre ad imporre ritmi sempre più sfiancanti ci spegne interiormente facendoci perdere il senso delle cose e la motivazione per cui le facciamo. Anche un lavoro tanto ambito può diventare un peso insostenibile e la passione più grande trasformarsi in noia angosciante.
L’esperienza di vuoto che ne deriva può portare al ritiro sociale e alla chiusura intimistica che per molti diventa fuga in un mondo parallelo offerto dal web o immersione in qualche dipendenza per anestetizzare la malinconia dell’esserci.
Chiediamoci se questo bisogno di sosta e di intimità con se stessi e con la vita che ci circonda può essere un indicatore a cui prestare attenzione. E, ancora, se il bisogno di ascolto e di riconoscimento espresso con modalità così inappropriate, può rivelare la via da seguire per riscoprirsi e tornare a scrivere biografie impregnate di senso.
Un latente bisogno di partecipazione basato su nuove premesse, dunque, pare farsi spazio in questo scenario così destabilizzato. La crisi è opportunità evolutiva ed è perciò che necessitiamo di una lettura appropriata, tenendo conto che l’introversione non è una tendenza da patologizzare – come intendeva il gruppo di psichiatri americani che stabiliscono i criteri diagnostici condivisi nell’ambito clinico – ma può trasformarsi in un fattore protettivo se mira a recuperare interiorità e capacità di ascolto per abitare il nostro mondo.
Un tempo troppo pieno ci rende saturi e incapaci di accoglienza reciproca, ci priva di riflessione e passivizza l’agire umano. Il “troppo pieno” ci rende spettatori della storia, ad esempio potrebbe farci astenere dalla votazione al referendum di oggi, perché delega le scelte personali ad altri.
La festa di Pentecoste che celebriamo oggi credo possa offrirci delle coordinate importanti per orientare il cammino quotidiano.
L’esperienza di Pentecoste è antitetica a quella di Babele dove il racconto della Genesi mostra un’umanità unita nel costruire una torre e così avere un nome in cielo. Vi scorgiamo l’immagine dell’individualismo per eccellenza, la relazione finalizzata al potere e alla gloria. Chiaramente questo tipo di affiliazione non genera prossimità ma alleanze di convenienza che, inevitabilmente, mantengono competitivi gli uni verso gli altri.
È la logica delle tregue che vengono mascherate con trattati di pace, equilibri di mercato retti dal profitto e non dal valore dato ad un popolo.
Lo scenario di Pentecoste inverte la prospettiva, è il Cielo a chinarsi sull’umanità che mantiene la sua diversità ma rimane docile all’ascolto. I discepoli hanno visto crollare le loro aspettative trionfalistiche e il Maestro ha rivelato loro la via del dono gratuito e dell’amore sino alla fine. Ha rivelato che l’amicizia si difende quando si è disposti a pagare in prima persona senza tenere conto del torto ricevuto, Gesù non entra in competizione ma si consegna mantenendo vivo il dialogo con il Padre.
La novità di Pentecoste mostra questa possibilità inedita, l’umano è chiamato a fare una salto evoluzionistico e cioè fuori dagli schemi di convenienza per entrare nella visione della comunione priva di possesso.
Le relazioni possono essere guarite solo quando si percepisce che l’altro non ha il potere di togliere importanza, valore, riconoscimento alla propria identità. L’esternalizzazione dei nostri giorni, diversamente, ha consegnato le identità personali alle apparenze e ai possessi esibiti.
Il processo di guarigione, secondo Pentecoste, è frutto dell’accoglienza della proposta di Dio: entrare a far parte della Sua vita comunionale. Ciò significa lasciarsi abitare dalla presenza dello Spirito Santo che non violenta l’agire umano ma lo conduce donandosi.
Lo Spirito è Paraclito e, dunque, “suggeritore” come l’avvocato che nel diritto romano suggeriva le possibili risposte all’imputato. L’esserne abitati presuppone l’apertura relazionale che spezza ogni sorta di intimismo egolatrico in cui ci si pensa bastanti a se stessi.
Questa apertura ci rende capaci di movimento, di scoprire le risposte alle provocazioni di ogni giorno: la vita è continua scoperta e mai ricetta preconfezionata.
Siamo appena rientrati dal viaggio con i ragazzi del Centro educativo “Crescere a Danisinni” che hanno vissuto una esperienza di condivisione con un Centro educativo di Verona, il CAM. È stata una esperienza di condivisione frutto del dono, l’accoglienza gratuita e la custodia offerta dagli amici di Verona ci ha permesso di dare un senso plastico alla Pentecoste che ancora una volta ci ricorda la bellezza della comunione.
Quando i nostri ragazzi si sono confrontati con altri mondi culturali capaci di raccontare il bene comune hanno avuto non solo l’opportunità di ampliare gli orizzonti ma anche di affinare la propria sensibilità nel prendersi cura dell’altro, anche dello sconosciuto fino a poco prima.
Pentecoste ci ricorda che tutti siamo stranieri in questo mondo – cioè in cammino verso la meta – e che, dunque, lo straniero ci appartiene perché è in ognuno di noi.
Nel mentre ieri sera a Bologna al BIOGRAFILM – festival cinematografico internazionale interamente dedicato alle biografie e ai racconti di vita – è stato presentato il “Castello Indistruttibile” in cui tre ragazzi di Danisinni desiderosi di esplorare il mondo sono stati protagonisti del racconto comunitario che li ha visti rovistare tra le macerie dell’asilo nido, quando ancora era abbandonato, una ricerca di senso e di mondo altro, capace di vedere oltre il grigiore dei misfatti lasciati dal mondo che li circonda.
Ecco, i giovani registi Danny Biancardi, Stefano La Rosa, Virginia Nardelli, nel girare il film per diversi anni si sono fatti compagni di cammino dei nostri ragazzi favorendo l’espressione di un sogno e di un racconto che altrimenti sarebbe rimasto privo di parola.
Questi sono alcuni dei tanti segni della Pentecoste che abita le nostre vite.