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Educativa di strada, Palermo, Psicologia della Religione, Ricerca di Dio

Rinascere per fede

Parlare di fede sembra anacronistico ai nostri giorni così caratterizzati da tanta mentalità scientista in cui tutto deve essere verificabile o spiegabile secondo un metodo sperimentale seppure molti assunti appaiono come dogmi invalicabili in cui il rigore scientifico mostra tutta la sua limitatezza.

Il piano della fede, piuttosto, si muove su un registro relazionale in cui l’umano e il divino entrano in rapporto in modo del tutto unico per ciascuno. Certo ci sono dei criteri di discernimento per verificare l’attendibilità dell’itinerario spirituale come ad esempio i frutti che ne costituiscono una prova provante della vita spirituale ma essa rimane comunque relazione originale abitata dal mistero del Cielo.

Nella pagina del Vangelo di questa domenica (Lc 17, 5-10) Gesù usa un’immagine paradossale, quella del gelso sradicato e piantato nel mare, per indicare la forza della fede. Lo fa rispondendo ai discepoli che si trovano smarriti a motivo del senso di impotenza quando il Signore indica loro che il perdono non deve avere misura.

La proposta del Maestro li disorienta perché ancora pensano alla fede come ad un atto di volontà nell’impegnarsi a seguire Gesù e al contempo misurano e calcolano il bene da fare sperimentando tutta la loro fragilità.

Da quel senso di fallimento i discepoli impareranno a vivere con fede piena ma prima sarà necessario un percorso.

Osservando la storia di Pietro possiamo comprendere: lui avrebbe voluto seguirlo armato di spada ma Gesù gli intimerà di riporla proprio nel momento in cui Lui veniva arrestato, proprio nel momento del bisogno Gesù svelerà che non è quello l’atteggiamento di fede. Pietro dapprima si opporrà a quella logica che ancora non comprende e successivamente, durante il processo di Gesù quando viene riconosciuto dagli astanti, rinnegherà il Maestro ma subito dopo incrocerà il Suo sguardo e scoppierà in pianto.

E’ il primo passo, questo, di un processo di rinascita, perché ha fede solo chi rinasce e smette di rimanere trincerato dietro il proprio ego e, dunque, di organizzarsi in modo difensivo di fronte al mondo cercando di dimostrare con mire di successo, potere e ricchezze, il valore della propria esistenza.

Il mattino di Pasqua Pietro continuando a rimuginare attorno alla propria delusione per la sconfitta del Maestro e per l’amarezza di essere fuggito piuttosto che averlo seguito, tornerà a pescare. È il mestiere che aveva lasciato tre anni prima, ora c’è da dimenticare questa lunga esperienza e tornare a garantirsi da sé la sopravvivenza.

Dopo una notte di pesca andata a vuoto, Pietro scoprirà il senso profondo della fede. Dopo avere ascoltato l’invito a gettare le reti dalla parte destra, proposta insensata e priva di evidenzia “scientifica” (si pesca di notte e la rete si getta dall’altra parte per evitarne l’intreccio), Pietro riconoscerà il Maestro. Non sarà semplicemente la grande quantità di pescato a convincerlo ma la triplice domanda di Gesù il quale gli chiede se lo amasse davvero.

Pietro riconosce tutta la propria povertà eppure il Maestro è lì a guardarlo con occhi di misericordia.

La Pasqua è il luogo della fede, dal Crocifisso che dona la vita per noi viene l’esperienza di consolazione frutto dell’amore di Dio.  

Pietro non ha più motivo di cercare di dimostrare grandezza o altra apparenza dinanzi all’amore gratuito di Dio. Riconosce il senso della Crocifissione  e comprende che il Padre ha continuato ad amare l’umanità consegnando suo Figlio.

San Francesco si è avvicinato ai lebbrosi quando ha scoperto questo amore gratuito e totale da parte di Dio. Si è spogliato di tutto perché sperimentava la ricchezza della misericordia divina. Il servizio ai lebbrosi, dunque, diveniva per lui condivisione del dono ricevuto e scoperta della presenza del Signore negli ultimi di quella società.

La fede, dunque, scaturisce dal sentirsi amati senza misura dal Signore. La fede è relazione e desiderio e cioè accoglienza dell’amore che si approfondisce giorno dopo giorno e mai pienamente comprensibile.

La logica del perdono senza misura, dunque, non è frutto di uno sforzo da energumeni ma dal sentirsi colmati dall’amore di Dio. Ciascuno viene trasformato da questa esperienza e accogliendo l’amore si viene trasformati e abitati dalla presenza del Cielo.

Il riconoscersi “servi inutili” così come conclude il Vangelo, dunque, non è riferito alla propria inutilità ma al fatto che il dono di sé non ha un prezzo, un utile, ma è gratuito perché sovrabbondanza del cuore.