Vive chi si compromette
Il legame ci compromette chiedendo risposta alle nostre promesse, il legame ci ancora alla realtà e fa sì che l’idealità diventi evento manifestando, così, la nostra autenticità. Eppure parlare di legami sembra anacronistico in quanto il fluttuare delle relazioni caratterizza il nostro tempo, così ammalato di individualismo.
L’uomo contemporaneo ha paura di fidarsi e cerca una propria autosufficienza, in questo modo finisce con l’incatenarsi ed imbrigliare il viaggio della propria esistenza chiudendosi in misure difensive e appoggi dipendenti per trovare un’apparente quiete.
Si assiste, ancora, ad una sorta di nominalismo che riduce la fede e il credere ad un mero segno linguistico senza una reale esperienza di vita. Il Vangelo, invece, racconta di parole ed eventi intimamente connessi come a dare un criterio di autenticità alla missione di ciascuno. A riguardo tornano in mente le parole di Emily Dickinson: “ Una parola muore appena detta, dice qualcuno. Io dico che solo in quel momento comincia a vivere”.
Siamo confusi dalla logica delle apparenze e giudichiamo la vita e la morte in base a criteri di successo e di grandezza. Proprio un paio di giorni fa abbiamo ricordato l’anniversario della morte di Pio La Torre, politico e sindacalista ucciso nella nostra Palermo perché aveva denunciato i rapporti che alcuni esponenti della politica locale intrattenevano con la criminalità organizzata. Aveva presentato la legge che introduceva il reato di associazione di tipo mafioso e si era opposto, inoltre, alla costruzione della base missilistica a Comiso perché la considerava una minaccia alla pace. Ecco un’altra verità: quando le parole manifestano la vita neppure la morte riesce a renderle infeconde!
Pensiamo all’evento della Pasqua di Gesù o alla conversione di Paolo dopo il martirio di Stefano di cui fu uno dei giudici. La Chiesa nasce e trova nuova linfa vitale dal martirio dei giusti e la morte, se è frutto del legame con il Cielo, è da intendersi come passaggio verso la meta.
La direzione dei nostri giorni, dunque, dipende dal legame da cui attingiamo e, secondo la pagina evangelica di oggi (Gv 15, 1-8), se ci scopriamo tralci legati alla Vite vera la nostra storia rimarrà feconda: da ciò che lasceremo scorrere dentro di noi dipenderanno i frutti.
Mentre per l’Antico Testamento la vigna rappresentava il popolo d’Israele che puntualmente tradiva la relazione con il Cielo malgrado le ripetute cure, con l’evento dell’incarnazione è Gesù stesso ad identificarsi con la vite, come ad avere assunto nella sua carne ogni fragilità e così sanarla con la sua misericordia. Guarisci quel che accogli dentro di te e ciò è possibile solo attraverso l’amore, ma fino a quando è il giudizio a cercare di correggere, la cura è solo formale e la colpevolizzazione non procurerà ripresa.
Gesù parla della cura del Padre come della potatura per la vigna, e il “potare” traduce il “purificare” e cioè il togliere ciò che non appartiene alla vita. La potatura, infatti, è in vista del frutto buono ed è il tenere presente la meta a dare significato all’intervento che, a primo acchito, potrebbe apparire doloroso ed insensato.
Il tralcio che rimane legato alla vite porta frutto e rimane fecondo perché, altrimenti, staccandosi seccherebbe divenendo inutile. Ma il criterio di utilità non è quantitativo ma relazionale ed è per questo che la seconda potatura, la quale apparentemente riduce il raccolto, di fatto favorisce la bellezza dell’uva prodotta.
Anche il frutto buono, però, abbisogna di passare per la Pasqua per esprimere il pieno significato. L’uva, pertanto, viene pigiata per produrre il mosto che lasciato fermentare darà il buon vino. Dunque si tratta del passaggio dalla “morte”, di quel che appare, per diventare qualcosa di nuovo che andrà ad allietare il banchetto divenendo il segno della festa. L’uva unita al lavoro dell’uomo, diverrà vino offerto sulla mensa eucaristica e quel dono accolto in Cielo sarà restituito come vita di Cristo.
Il legame richiede una continua fiducia affinché la promessa possa realizzarsi in pienezza e anche il tralcio può diventare vite se porta le gemme, come a rivelare che la fecondità data dal legame trasforma interiormente. È quello che accade alla Comunità che nutrendosi del Corpo di Cristo ne diventa autenticamente Corpo, è prezioso il frutto e, al contempo, viene resa autentica l’esistenza dello strumento. A ciascuno, dunque, è dato di diventare quel che accoglie e i legami ne rivelano l’essenza.