Osare il cambiamento
L’avventura del CoroDanisinni inizia nel 2017 promossa dalla Fondazione Teatro Massimo e arriva al suo primo debutto nel 2018 con l’Elisir di Danisinni. L’anno successivo è la volta de la Cenerentola e il 7 luglio torna in scena con una 𝗦𝗵𝗼𝗿𝘁 𝗢𝗽𝗲𝗿𝗮 – 𝗟𝗮 𝘁𝗿𝗮𝘃𝗶𝗮𝘁𝗮. Uno spettacolo liberamente ispirato a “La traviata” di Giuseppe Verdi, ideato e diretto dal regista Marco Canzoneri assistito dal direttore del coro Manlio Messina.
L’appuntamento di questa sera non desidera presentare una performance per riscuotere plausi ma proporre un microcosmo nel territorio cittadino che trasuda vita concreta fatta di precarietà e di lotta per fronteggiare il quotidiano, ma che non si lascia appiattire dalla rassegnazione e neppure strappare la capacità creativa espressione della bellezza interiore.
La terra battuta così come gli animali della fattoria o i vocii di quanti rimangono affacciati dai balconi di casa, sono il grande teatro che accoglie la cornice scenica de La Traviata.
La piazza fuori il teatro torna ad essere il luogo d’ispirazione ed inventiva suscitando una reinterpretazione de La Traviata in quanto l’oggi viene assunto quale categoria ermeneutica per rileggere e tradurre, nella risonanza contemporanea, la vicenda di Violetta che, rapita dal modello estetico, diventa una bambola inerme e da venerare quale miraggio idealizzato ma estraneo alla vita concreta di chi si confronta con la realtà cruda e precaria del quotidiano.
Una denuncia che il regista Canzoneri insieme all’assistente Messina lanciano ad un certo perbenismo che vorrebbe anestetizzare la nostra società riducendola ad una recita estetica densa di forme e priva di anima.
I due artisti si sono calati dentro i contesti delle periferie palermitane ripartendo dall’ascolto e dai vissuti della gente e, così, hanno lasciato vibrare gli spartiti dell’opera mischiandoli con quelli delle storie che, nel mentre, venivano narrate, dando intuizione ad una trama inedita ed attuale.
Danisinni in questi giorni diventa teatro del teatro, anima protagonista e spettatrice di una nuova presentazione in cui lo storico rione torna ad ospitare la Città.
Un’opera collettiva che oggi accoglie nel Coro non solo cittadini di Danisinni ma anche dello Zen e dello Sperone estendendo il processo di partecipazione ad altri quartieri della Città ritenendo che il teatro musicale può contribuire, in modo significativo, a tessere le trame di comunità che sempre più appaiono sfilacciate a motivo dell’individualismo dilagante.
Il valore aggiunto, dunque, arriva dalle cosiddette “periferie urbane” e cioè da quei luoghi abitualmente poco considerati nei salotti culturali palermitani e che invece assumono il tema della lirica per condividere il proprio sentirsi parte della Comunità cittadina dando il proprio apporto artistico culturale.
Attualizzare è dare voce a chi altrimenti continuerebbe a rimanere marginalizzato e, in questo modo, la potenza del teatro torna ad assumere la sua valenza socio-politica per contribuire alla crescita della nostra terra.
Palermo rimane una città controversa, dalle molte anime e conflitti sociali, dove le ingiustizie si mischiano agli interessi di pochi o, comunque, ad un certo tornaconto individuale che spesso rimane indifferente di fronte ai piccoli.
La nostra Città, crediamo, abbisogna di venire fuori esprimendo appieno la sua passionalità e originalità, quel moto d’animo che per trovare spazio abbisogna di superare le maschere sociali che imbrigliano la nobiltà dell’animo umano.
Siamo capaci di prenderci cura facendoci prossimi, sporcandoci le mani fino a pagare in prima persona per il bene di chi è oppresso. A trent’anni dal martirio di padre Pino Puglisi e poco prima di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, abbiamo bisogno di ritrovare un rinnovato slancio per difendere la dignità della nostra terra tanto martoriata quanto ricca di esempi di bellezza e gratuità.
La Comunità di Danisinni desidera dedicare questo evento al giovane Paolo arrivato sette anni fa a Danisinni in regime di semilibertà.
Una persona con la quale abbiamo condiviso un percorso riabilitativo e di riappropriazione di dignità supportato dalla fiducia di tutti gli operatori sociali impegnati nella misura alternativa alla detenzione.
Dopo quattro anni il percorso di scarcerazione ha visto nascere una cooperativa di cui Paolo da un anno fa da traino esemplare, svolgendo il ruolo di responsabile dei manutentori e dei giardinieri. Un’esperienza di autentico cambiamento dove un individuo si è riappropriato della propria esistenza e che, dopo diciassette anni di detenzione, è arrivato ad una espressione piena della vita buona esprimendo il proprio potenziale creativo a servizio della comunità, sia lavorativamente che come volontario.
Da due giorni, però, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un processo iniziato diciannove anni fa e che vedeva l’ipotesi di un coinvolgimento di Paolo in un reato che, come rilevabile dagli atti in procura, veniva smentito dalle stesse forze dell’ordine che avevano provveduto agli accertamenti. La sentenza è stata di condanna e tra qualche giorno Paolo tornerà in carcere…
Dall’opera siamo subito proiettati alla vita reale, cruda e a volte spietata che ci circonda, spesso densa di contraddizioni dettate dalle innumerevoli ingiustizie che, sovente, vedono i più poveri pagare il prezzo più alto: il pregiudizio che verte su un cambiamento impossibile, come se un destino atavico dovesse segnare luoghi e persone che li abitano!
Potremmo continuare con la storia di tanti tra cui quella di un giovane universitario del rione che vorrebbe coltivare la sua passione lavorativa ma non che riesce a superare l’ultima prova di selezione all’interno delle forze dell’ordine, la prova più semplice, a motivo delle sue origini che, pur non avendo mai commesso reato, segnano comunque la sua fedina penale…
Sono tante le contraddizioni a cui la realtà ci consegna e, in fondo, anche l’opera di Verdi narra della incredulità di fronte al cambiamento sincero, come a ricordarci che un grande male è quello dello stigma sociale che non ammette trasformazione alcuna.
Abbiamo bisogno di cambiare punto di osservazione della realtà e se non ci decentriamo partendo dai più piccoli non avremo mai lettura di quel che accade attorno e dentro di noi ma, ciò, significherebbe spegnere il respiro della vita.