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Ricerca di Dio

Inversione di prospettiva

Disporsi al cammino della vita non è cosa scontata, molti credono di camminare mentre, in realtà, sono solo avvitati attorno a se stessi o scrivono storie ad intermittenza che portano a ripartire, sempre, da capo.

Il cammino, piuttosto, dipende da chi si segue e dall’ideale che ci si prefigge,  le fedi così come le dottrine e le scuole di pensiero hanno dei volti che li hanno incarnate e che diventano riferimento per chi le sposa.

Osserviamo che il nostro tempo offre modelli declinati secondo la prospettiva del successo economico o del potere e chi è riuscito a realizzare guadagni spropositati è visto come modello da emulare. Oggi stiamo raccogliendo i frutti di simile apparenza e il fare competitivo e violento che viene descritto dalla cronaca dei rotocalchi di ogni giorno ne evidenzia il tragico epilogo. Del resto quale altro risultato si potrebbe avere quando i parametri di riferimento sono dati dalla avidità e dal calcolo di convenienza?

Cammina chi rimane in relazione con l’altro e, dunque, è disposto ad interessarsi gratuitamente fino a perderci qualcosa per il bene altrui.

Nell’isolamento egocentrico, piuttosto, non c’è cammino ma solo avvitamento narcisistico e quando si coltiva il culto di se stessi l’altro è visto esclusivamente come oggetto da sfruttare per il proprio tornaconto. Sono le tipiche dinamiche di dipendenza dove la persona si spoglia della propria individualità e viene assoggettata dal personaggio idealizzato il quale rimane statico nella sua posizione egoica priva di crescita individuale e tantomeno capace di favorire quella altrui.

Il Vangelo di questa domenica (Mt 16, 21-27) ci pone di fronte a tale questione e mette a soqquadro simile postura autocentrata che vorrebbe pianificare la direzione del cammino in base al proprio piacimento scevro dalle ricadute sulla vita comunitaria.

Gesù si rivolge ai discepoli con una frase lapidaria dopo avere contestato la posizione di Pietro che voleva impedirgli di andare verso Gerusalemme e afferma: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Rinnegare se stessi equivale a cessare di valutare il proprio tornaconto prima di muoversi misurando le perdite possibili secondo criteri di convenienza individuale. Rinnegare se stessi è l’arte del ripartire dall’altro e non più da sé, del perderci qualcosa perché l’amore vero è tale se gratuito e se pago della gioia altrui.

Questo non significa, certo, affacciarsi alla giornata in modo imprudente o con una carica di buonismo che equivarrebbe a lasciarsi calpestare ma, piuttosto, di entrare nella storia quotidiana prendendone il carico senza fughe consapevoli che il viaggio è condiviso con il Cielo.

La fede è relazione di fiducia e quindi cammino anche quando si comprende poco o si vorrebbero evitare le sfide della vita. Pietro che voleva eludere la storia di fatica e passione che avrebbe dovuto affrontare il Maestro viene rimproverato perché, ancora, è trincerato sui propri calcoli e, infatti, prenderà la spada per impedire l’arresto di Gesù.

“Seguire”, piuttosto, è rimanere in ascolto permettendo alla Parola di contestare interiormente i propri orizzonti e così aprirsi ad una prospettiva ulteriore che apre alla pienezza del cammino.

Quando qualcuno obietta che la fede è una sorta di dipendenza infantile, misconosce che questo rinnegamento è funzionale ad entrare in relazione autentica con il Tu divino, non in modo anonimo ma personale consegnando il carico di fatica e di paure per lasciarsi supportare ed illuminare dal Cielo.

Al contrario sono tante le proposte pseudoreligiose assai diffuse che propinano dipendenza dal guru di turno che attraverso la meditazione o massime sapienziali mai incarnate autenticamente riesce a suggestionare innumerevoli adepti sottomettendoli alla propria dottrina di salvezza al pari di un fattucchiere che predice il futuro e la strada per realizzarlo.

Gesù aveva rivelato della sua imminente sofferenza a motivo degli anziani, dei sacerdoti e degli scribi e cioè dei detentori della fede d’Israele i quali avevano inquadrato la religione in un “prezzo” da dare a Dio, attraverso sacrifici e offerte, per ottenerne in cambio benevolenza e prestigio e così avere un potere per sottomettere a sé il popolo.

Lui si sottrae a tale prospettiva perché rivela la verità dell’amare che si traduce nel servire e nell’accogliere l’altro oltre le apparenze, piuttosto che mostrarsi onnipotenti ed autosufficienti nei suoi confronti. In questo modo svela il volto misericordioso del Padre che accetta di offrire il Figlio pur soffrendo per le ferite recate all’amore e, anche, manifesta il vero volto dell’uomo che si scopre amato aldilà del peccato o della imperfezione che sperimenta.

Rinnegare se stessi, dunque, è il frutto di un cammino di spoliazione che porta a riconoscersi nell’essenzialità priva di maschere dove l’unicità che si apre alla relazione con il Padre. Pietro resiste perché vuole proteggere il Maestro da ogni prevaricazione altrui ma sta dentro la logica della forza che vorrebbe imporre se stessi di fronte agli altri. È perciò che Gesù lo rimprovera perché vorrebbe tracciare la strada senza seguire il Signore e cioè evitando la via dell’amore sino alla fine. L’apostolo scoprirà, successivamente. che Gesù prende su di sé anche il male di Pietro e, malgrado ciò, continuerà a guardalo con occhio di misericordia.

Mentre nel mondo attuale ciascuno lotta per affermare il proprio efficientismo il Vangelo ci mostra che la gratuità del Cielo non abbisogna di dimostrazioni ma di resa e cioè di riconoscimento della propria precarietà. Non per svalutarsi ma per comprendere che senza la relazione con l’Altro e il disporsi in ascolto fiducioso non c’è cammino.

Si tratta, dunque, di una inversione di prospettiva: la felicità non è inquadrabile nel mero perseguire i propri desideri di autocompiacimento ma è frutto del dono per l’altro e del sostenere sino in fondo la passione propria dell’amore.

Torna alla mente una citazione del caro padre Paolo Dall’Oglio, frase che è parte del testamento spirituale che ha lasciato a Mar Musa, monastero dove, nelle scorse settimane, abbiamo avuto l’onore di abitare: “Vi è un circolo ermeneutico infernale: le paure legittimano la repressione, che crea l’estremismo, che giustifica le paure”.

Pietro era soggiogato dalla paura e sarebbe arrivato alla violenza più estrema ma ciò non avrebbe portato alcun cambiamento. La lezione del Maestro rimane attuale: il cambiamento è possibile se sei disposto a rischiare del tuo perché cammini con Lui.