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Consultorio familiare, Educativa di strada, Psicologia e vita, Ricerca di Dio

Stupirsi o allinearsi?

Assistiamo ad una strumentalizzazione dei diritti in nome di un progressismo che, di fatto, pare violare unicità e appartenenza, diversità e fragilità dei piccoli.

La spinta all’emancipazione che ha caratterizzato la fine del secolo scorso è rimasta schiacciata dall’ideologia del superuomo esasperando l’individualismo e, di conseguenza, indebolendo la capacità critica dell’essere umano.

È così che la libertà si è trasformata in calcolo ossessivo delle giornate per dare risposta ad una bulimica sete di esperienze ed appagamenti ma privi di gusto e di reale soddisfazione. Quando la quantità prende il posto della qualità, l’umano è ridotto a consumatore dipendente incapace di sostenere il limite e la frustrazione del rimanere solo con se stesso.

Dal coltivare ideali e cause per cui spendersi, si è passati al continuo bisogno ego-centrato, e la gratuità del dono, che si esprimeva in tante forme di volontariato, oggi pare confrontarsi con la violenza di chi pretende imporre avidamente le proprie visioni senza spazio per l’altro.

Questo, però, non significa idealizzare il passato o non riconoscere la grande spinta innovativa di cui è capace il nostro tempo, ma riflettere per cogliere la grande occasione che ci è data perché, dalle scelte di oggi, dipenderà la storia ed il diritto al futuro delle nuove generazioni!

Per partecipare ad un sincero processo culturale capace di cambiamento, e non solo formalmente, è necessario mettersi tutti in gioco pagando in prima persona il prezzo della impopolarità che si sottrae dalla logica delle masse a cui il potere della comunicazione impone modi di pensare e stili di vita funzionali ai dettami del mercato finanziario, dove l’individuo è ridotto a numero in termini economici.

Uscire da simile spinta significa aprirsi all’altro con un anticipo di fiducia, spendersi per il bene comune prima che per quello individuale, credere che dalla crescita comunitaria dipenderà il benessere personale.

Restituire volto e narrazione biografica a chi ci sta intorno è il primo passo per entrare in questo cammino e il racconto evangelico appare la via maestra per rivelare le coordinate del viaggio.

L’evento Cristo accade all’interno di una coppia che impara a vivere il dono. Riconoscersi senza conoscersi è il grande messaggio che ci viene dalle figure bibliche di Maria e Giuseppe. Entrambi riconoscono l’altro perché dono e non quale possesso calcolato.

Il generare, così come ogni legame d’amore, risponde a questa necessità che offre spazio e accoglienza gratuita all’altro.

La maternità surrogata, ad esempio, esprime una grammatica differente dove l’unicità della relazione umana viene frammentata facendo dell’esistenza umana il frutto di un assemblaggio di parti diverse. L’utero in affitto, a riguardo, costituisce una profonda umiliazione per una donna in quanto la ridurrebbe a mero contenitore di preferenze di chi ordina, pagando, il proprio prodotto-figlio!

L’accoglienza, quale rimedio alla precarietà del vivere, ancora, traduce l’esperienza di Maria e Giuseppe. Loro accolgono e saranno accolti quando si troveranno precari a Betlemme in cerca di ospitalità e, poi, in Egitto per ripararsi dalla persecuzione di Erode.

L’anticipo di fiducia è l’ulteriore passo necessario, loro si fidano perché rimangono in ascolto del Cielo. Possono leggere la storia al di là delle apparenze perché, oltre lo sguardo lineare di causa ed effetto, si fidano e cioè rimangono aperti al mistero considerando che la storia non procede per programmazione ma per intuizione e che, da questa, scaturisce l’armonizzazione di un percorso condiviso.

Torna, dunque, un interrogativo basilare che interpella l’esistenza di ciascuno: per quale battaglia sto consumando i miei giorni?