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Educativa di strada, Incontri culturali, Mediazione ai fini della conciliazione, Psicologia e vita, Ricerca di Dio

Sotto lo sguardo dei piccoli

«Siamo andati in Afghanistan 20 anni fa per regolare i conti con chi ci ha attaccato l’11 settembre. Abbiamo portato a termine questa missione». Questa lapidaria dichiarazione resa dal segretario di stato statunitense Blinken, in un’intervista alla Cnn, ci da la portata della questione.

L’individualismo dei nostri giorni è emblematicamente innalzato a sistema di pensiero e di alleanze a discapito degli oppressi di ogni terra. Ci rendiamo ben conto che non è l’assedio militare la risoluzione alle tante ingiustizie di questo mondo ma, certo, a ciascuno spetta la responsabilità di custodire i piccoli senza nascondersi dietro le incapacità, in questo caso, del governo di Kabul che non è riuscito a fronteggiare l’avanzata talebana.

La sensibilità umana fa fatica ad uscire dal parametro di lettura che vede contrapporsi vittoriosi e perdenti, superiori ed inferiori. Nelle nostre società manca il criterio della vittoria solidale tenendo conto dei bisogni delle fasce di popolazione più deboli e riconoscendo che o si è tutti vincitori o si diventa tutti perdenti. In modo analogo, infatti, valutiamo il grado di civiltà i una Città in base all’abbattimento delle barriere architettoniche o agli scivoli dei marciapiedi lasciati sgomberi dalle auto in sosta!

Essere vincitori a discapito di qualcuno è un atto di viltà, così come quando il più bravo della classe si rifiuta di aiutare un compagno che chiede spiegazioni perchè così potrà avere il voto più alto. Continuiamo a crescere in un clima competitivo che strappa armonia nei contesti lavorativi e fa dei ruoli una funzione di potere e, spesso, di prevaricazione per boicottare la crescita altrui.

Tornando all’Afghanistan oggi, ancora una volta, vengono tradite le nuove generazioni: il loro diritto al futuro, la dignità di un presente da esprimere nella libertà, quella vera, e non nella sottomissione ad una dittatura del pensiero e delle scelte di vita.

Quante parole vuote, colme di controsensi e solo capaci di svelare la logica dei potenti: «siamo in grado di poter disporre di un prelievo ordinato e sicuro del personale statunitense e di altro personale alleato e un’evacuazione ordinata e sicura degli afgani che hanno aiutato le nostre truppe durante la nostra missione e quelli particolarmente a rischio dall’avanzata talebana»! Già questa mattina l’aeroporto di Kabul è nel panico più totale, ondate di civili cercano di salire su un aereo in partenza per fuggire dalla morte e nel mentre che gli americani sparano per aria nel tentativo di ristabilire l’ordine, diverse persone hanno già perso la vita.

Iniziano le vuote promesse: “le donne potranno uscire di casa e addirittura studiare, non saranno costrette a sposare i mujahiddeen” e nel mentre che il portavoce degli “studenti di religione” parla, già nove donne che lavoravano nella Azizi Bank che si trova a Kandahar sono state portate a casa dai militari ed è stato ordinato ai loro uomini di sostituirle a lavoro, lo stesso è successo alla Bank Milli di Herat dove  tutte le dipendenti di sesso femminile sono state cacciate fuori. Qualcuno ancora ricorderà che durante il governatorato talebano, dal 1996 al 2001, le donne potevano uscire solo se accompagnate dagli uomini e rigorosamente con il capo coperto…

La pace è la vera sfida del nostro tempo ma essa dipenderà dalla battaglia per la quale si spende la propria esistenza. Anche nell’inquietudine per una causa si può mantenere la pace interiore quale espressione della comunione che si custodisce malgrado le tempeste che puntualmente si attraversano.

Fino a quando l’individualismo sarà l’obiettivo delle nostre società non ci sarà pace e, di conseguenza, capacità di perdono. Come diceva don Tonino Bello: “Il nostro compito storico è di sapere stare insieme a tavola. Non basta mangiare: pace vuol dire mangiare con gli altri”.