Lo scandalo del crescere
Scandalizza chi tradisce le aspettative sottraendosi ad una mentalità calcolatrice, così è dell’espressione creativa perché il nuovo richiede l’abbandono di quel che è già.
Il Vangelo riporta puntualmente allo scandalo recato dall’agire di Gesù e nella pagina di questa domenica (Mt 11, 2 – 11) Gesù rispondendo ai discepoli che gli chiedono conferma sulla sua identità messianica conclude con una frase lapidaria: “Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”.
Etimologicamente il termine “scandalo” indica ostacolo, inciampo, insidia e cioè esprime quanto impedisce il cammino. Di fatto, Gesù, impedirà il cammino nel buio della notte, segnato dalla compiacenza per il proprio interesse o dall’ingiustizia che soverchia i piccoli. Lui, invece, chiederà conversione e, quindi, una rottura con la mentalità precedente, un cambiare direzione perché altra è la meta!
La proposta è quella di una via inedita perché non si può mettere un rammendo nuovo in un vestito vecchio, piuttosto, è necessario aprirsi ad una nuova visione per diventare discepoli del Maestro.
Le aspettative nutrite per secoli da Israele, erano legate ad un Messia che avrebbe fatto giustizia vendicando il popolo contro i suoi nemici e, certamente, avrebbe dimostrato la sua grandezza ribaltando quanti reggevano il potere soverchiando i popoli.
Eppure Giovanni si trovava in prigione per avere denunciato una grave ingiustizia e, dunque, sembrava che le sorti dei potenti continuavano ad essere buone e in continua espansione. Un dato di realtà che aveva anche destabilizzato l’austero Battista il quale, ora, chiedeva conferma inviando i suoi discepoli da Gesù.
La proposta evangelica, infatti, esce fuori da ogni possibile schema e la giustizia che il Maestro porta è ben oltre a quanto avevano annunciato i profeti. Si tratta, allora, di non rimanere ancorati alle proprie aspettative e a quell’idea di Dio che, altrimenti, non permetterebbe a Lui di rivelarsi. Gesù sta mostrando il volto del Padre misericordioso e questo supera ogni precedente pensiero, ora si tratta di lasciarsi convertire fino a cambiare mentalità ma, ciò, genera profonda incertezza perché richiede la fiducia in Lui.
Il problema non è dato dal dubitare umano ma dalla resistenza al cambiamento e Giovanni, poi, si fiderà sino al martirio. Accetta di seguire il Messia povero che si è fatto tutto a tutti. Gesù, infatti, ha accolto la condizione della fragilità umana per raggiungere ciascuno lì dove si trova e, da quella condizione di limite, portarlo a condividere la sua amicizia.
Non un Dio altro, il quale fa fuggire dalla propria storia, – questo darebbe luogo ad una religione alienante – piuttosto un Dio che si china per servire e rivelare, così, il volto del Padre suo che è colmo di misericordia.
Oggi continua a scandalizzare chi crede e si spende per la causa della giustizia, è scomodo chi si avvicina ai poveri evidenziando, di riflesso, l’enorme indifferenza con cui si trattano intere fasce di popolazione. E, ancora, non si tollera chi parla di valori che vorrebbero custodire la famiglia e le nascite o l’accoglienza dei profughi, aldilà dell’individualismo. Anche parlare di giorni festivi in cui fare pausa dal lavoro, per dedicarsi alla esperienza di fede e alle relazioni più care, è impossibile per il mercato dei consumi che impone ritmi e stili di vita.
La fede, però, è un’esperienza relazionale: è desiderio di Dio e non conquista o precomprensione; è lasciarsi condurre aldilà delle incertezze; è preferire quel che ha poco valore per la logica di questo mondo ma che è ritenuto prezioso per il regno dei cieli. Ma la fede non si può spiegare e la scopre solo chi decide di smettere di rimanere spettatore della vita.