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Gratitudine cioè amare

“G” come Gratitudine. Scorgere un ramo di mandorlo in fiore allo spegnersi dell’inverno apre alla gratitudine, lo stesso accade quando si toccano primi fiocchi di neve o ci si immerge nel mare di maggio nel mentre che si apre la bella stagione. Gratitudine è respiro, è gioia, perchè si trova quel che si attende.

La gratitudine è l’arte del sorprendersi come se tutto fosse per la prima volta. Perchè nulla è scontato e neppure l’alba di un nuovo giorno che desta dal sonno per restituirci al quotidiano.

Chi pretende di avere, continuerà a nutrire rivendicazione e rimpianto per quel che non ha già ottenuto. L’irriconoscenza, infatti, chiude nel risentimento mentre la gratitudine apre a ricevere e a donare, apre alla ricchezza che è tale se consumata nella linea dell’amore.

Nella parabola della misericordia troviamo l’immagine della gratitudine nel padre che dona quel che non è dovuto, altresì emerge l’orgoglio dei due figli che pretendono quel che loro non spetta. Ma il padre rimane nella postura di speranza credendo, così, di potere contagiare anche chi ancora non lo vede.

La gratitudine rimane aperta al dono e pure all’accoglienza quando l’altro continua a dimenarsi nelle sue tortuose vie. La gratitudine, dunque, è la condizione d’animo che rivela il passaggio alla vita adulta. Si rimane figli, infatti, quando si continua a rivendicare senza riconoscere che nulla è dovuto, cioè senza rendersi conto che quel che siamo è già dono. La gratitudine, dunque, è di chi non cerca la perfezione nell’altro e neppure in se stesso, non siamo fatti per essere compiuti ma per rimanere in cammino, magari, insieme all’altro.

La gratitudine è legata alla generosità. Fino a quando rimaniamo avari allora non è possibile essere grati perchè ci mancherà sempre qualcosa: il vicino sarà oggetto di invidia e, perciò, parametro per vedere se stessi. La vita non è questione di misure e di calcoli, se l’altro ha ricevuto più o meno rispetto a te, è necessario cambiare prospettiva perchè tu sei fatto per regalarti!

Si narra nel Vangelo di un episodio scandaloso: Maria dopo che il fratello Lazzaro era stato richiamato alla vita da Gesù si recò furtivamente alla cena in cui era presente il Maestro e chinandosi su di Lui, ne cosparse i piedi con trecento grammi di profumo di vero nardo assai prezioso.

Tutto l’ambiente si riempi di quella fragranza e lei addirittura si procurò di asciugarne i piedi con i suoi capelli. Chi era avaro lì presente contestò quel gesto così ricco d’amore, ma Gesù intimò di lasciarla fare perchè, così,  fosse custodito per il momento della sepoltura.

Per chi è grato, infatti, è conciliabile il conservare con il consumare. Non si tratta dello sciupio di chi crede di avere ma del consumarsi di chi custodisce l’amore e, pertanto, lo vive. L’amore si moltiplica per contaminazione, più è versato e più cresce e maggiore ne è la gratitudine. Se perfino la morte può essere segnata dall’ultimo respiro di gratitudine, è perchè si crede che il morire è un guadagno e cioè il passaggio alla vita piena con il Padre

L’umanità si è sentita orfana e di conseguenza ha perso il senso dell’essere grati ma ciò è dovuto alla dimenticanza, cioè all’avere smarrito lo sguardo di chi attende e il rapporto con il datore di ogni dono. Ritorna alla gratitudine chi si riconosce generato e si accosta alla riconciliazione perchè sa che il perdono è gratuito. La gratitudine smonta ogni preteso merito, è riconoscenza e non conquista e, così, permette di accedere al rendimento di grazie per eccellenza: l’Eucarestia.

È un modo di percepire la realtà con uno sguardo rinnovato. Quello che si consuma nella celebrazione eucaristica infatti diventa comunione, ossia capacità di contaminare ogni cosa. Ciò  che è mortale, il gesto quotidiano, viene trasformato in occasione per unirsi sempre più al Cielo.

Si spezzano i confini e l’esistenza personale assume una capacità inspiegabile, ciascuno diventa dono per essere consumato. La gratitudine mantiene vivo il nutrimento custodendo il legame con la fonte. È così che si ridiventa figli, ma solo attraverso il passaggio pasquale che è esperienza della Cena, e cioè il partecipare al banchetto divenendo Pane, Corpo di quella mensa.

Non si può vivere questa vita nuova da spettatori, senza consegnare tutto e neppure estraneandosi dagli altri. Ci si scopre appartenenti ad un unico popolo, l’umanità fatta per ringraziare.

“G” come Gratitudine, come Gioia della comunione, come unico Rendimento di grazie. Ricordiamo le parole di Chiara Corbella “Siamo nati e non moriremo mai più”.