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Consultorio familiare, Palermo, Ricerca di Dio

La parola all’Ascolto

“Il modo migliore per Rinascere è partire da chi Nasce” è lo slogan che troviamo affisso alla cancellata del Nido di Danisinni che con l’inaugurazione di domani mattina sarà restituito a tutta la città di Palermo.

Un evento che per il territorio, la Comunità Educante Zisa-Danisinni e l’Amministrazione pubblica segna una tappa preziosa del processo di rigenerazione urbana che sta attraversando il rione Danisinni rendendolo, sempre più, una Casa di comunità. La Casa comune, il territorio che abitiamo, che ciascuno ha il compito di custodire e arricchire con il proprio apporto quotidiano.

Custodire il diritto al futuro delle nuove generazioni, dunque, significa rimanere in vita guardando oltre le apparenze  e il momento presente.

Favorire sviluppo comunitario e promuovere trame di umanità ha un profondo senso generativo e con la riapertura del Nido si contrasterà la povertà educativa e la dispersione scolastica, restituendo opportunità di vita buona alle nuove generazioni.

Nasce veramente chi si sente attore protagonista della propria esistenza, chi non delega all’altro, chi si spende per una causa e ha il coraggio di consumarsi per il bene anche se questo ha il prezzo della fatica quotidiana. Nasce che rimane in ascolto, attendendo di leggere e comprendere gli accadimenti della vita.

Nella liturgia di oggi ricordiamo la memoria della “Natività della Beata Vergine Maria” e torna alla mente l’intensa espressione evangelica “serbava tutte quelle cose nel suo cuore”.

La madre di Gesù non aveva tutto chiaro e di fronte alle ingiustizie che la circondavano conserva la memoria viva degli accadimenti certa della promessa di vittoria del Bene sul male, così come le aveva rivelato il Cielo.  Senza ascolto, infatti, non può esserci comprensione e neppure evoluzione personale e comunitaria.

La frenesia del quotidiano, spesso, ci trova incapaci di dialogo perché chiusi all’ascolto. A rifletterci, “ascoltare” è un verbo parecchio estraneo alla nostra società: ascolta chi fa spazio dentro di sé e rimane disponibile ad uscire fuori per interessarsi dell’altro, mentre la logica dei consumi non ammette gratuità e, piuttosto, educa al saziarsi senza misura e al ripiegarsi su se stessi trovando nella soddisfazione personale l’unico criterio che orienti il quotidiano.

Questo atteggiamento procura una bulimia di parole unidirezionali in cui si scaraventa sull’altro quello che si pensa e poi non si attende alcuna risposta. La comunicazione, invece, inizia con l’ascolto e non con la parola, a ciascuno accade di essere generato dalla parola altrui: il tu ci precede.

La parola, dunque, è frutto di una relazione perché impariamo a parlare quando ascoltiamo qualcuno che ci rivolge la parola. Chi è sordo, infatti, ha una disabilità che non necessariamente è associata al mutismo e quando è stimolato dall’interazione altrui impara a parlare. Noi siamo relazione ma se ci chiudiamo all’ascolto non vediamo più l’altro  e ci immergiamo in una realtà parallela priva di parola.

Contrastando simile cultura del monologo la Scrittura parte dall’ascolto. “Shemà” che in ebraico significa “ascolta” è l’invito che puntualmente Dio rivolge al suo popolo. Sottrarsi a questa richiesta porta ad ogni tipo di violenza e di ingiustizia sociale, e all’incapacità di accogliere lo sguardo del Cielo.

Oggi districarsi nel surplus di stimoli che arrivano dai social e dalle innumerevoli interazioni quotidiane non è semplice, abbiamo bisogno di silenzio per restituire cittadinanza alla parola e di spazi per abitare il mondo in modo pacificato, sostando per ascoltare e vedere oltre le apparenze.

L’ascolto che precede la vista, infatti, restituisce capacità di comprensione della realtà, invece, il contrario crea suggestioni ed esperienze di superficie prive di ascolto autentico. Così è la postura del “mordi e fuggi” propria della occasionalità dei rapporti o della velocità nello stare a mensa o, ancora, la progettualità limitata ad interventi spot che non curano veri processi di sviluppo.

La vita è precaria ma non fugace. La precarietà procura il senso del cammino e questo, condotto in profondità, crea capacità generativa perché l’esistenza di ciascuno, spesa autenticamente, semina bene per tanti altri.

Nel Vangelo di questa domenica (Mc 7, 31-37) troviamo un uomo cieco e balbuziente che viene condotto da Gesù il quale si è recato nella regione pagana per cercare l’umanità smarrita. Un uomo così ferito è imbrigliato in una grande solitudine, un’esperienza analoga a chi vive immerso nella società delle apparenze.

Gesù lo chiama in disparte, desidera fargli sperimentare una solitudine differente, quella che prepara alla relazione portando all’incontro con l’altro. Lui lo rispetta e, dunque, lo custodisce facendolo uscire dallo sguardo altrui. Spesso il giudizio di chi ci sta attorno è l’ostacolo che impedisce il rinnovamento di vita, un’etichetta che ti dice chi sei e quello che devi continuare ad essere!

Il Maestro stende la sua mano su quell’uomo incapace di ascolto e di comunicare, gli tocca le orecchie e poi gli pone la saliva sulla lingua. Gesù entra a contatto con l’umanità ferita e restituisce dignità espressa dall’imperativo “effatà” che in ebraico significa “apriti”.

La saliva è necessaria alla parola e l’utilizza anche per la guarigione di un cieco nato quando impasta la saliva con la terra. La Parola di Dio è luce per tornare a vedere ma vede chi ascolta, parla chi è generato dalla Parola che si è fatta carne.

Oggi ci viene ricordata la consegna battesimale fatta ad ogni cristiano che, attraverso il sacramento, è reso capace di ascoltare e annunciare la Parola. Ciò che apparteneva alla relazione divina ora è consegnato all’umanità tutta, ma è necessario accogliere in pienezza il dono senza lasciarsi suggestionare da facili progetti di vita.

Comprendiamo, ora, quanto dice l’apostolo Giacomo (2,1-5) nella lettura di oggi. La vita non è questione di apparenze, piuttosto, il Cielo si rivolge al povero e se un ricco viene accolto al primo posto e un povero lasciato in fondo all’impiedi evidentemente si sta escludendo il Signore dalla propria mensa.

La parola vera, dunque, permette di costruire rapporti di prossimità in questo mondo. Aprirsi al servizio e alla gratuità del dono è frutto della parola che si è accolta e da cui ci si è lasciati trasformare.

La riapertura del Nido Danisinni rivela la fiducia e la perseveranza di tanti uomini e donne di buona volontà che, per decenni, hanno mantenuto caro il senso di Comunità consapevoli che i sogni condivisi possono diventare realtà.